Le nonne di Cappuccetto Rosso! E il lupo cattivo!

Una nonna molto italiana
rosana liali 



Molto avanti e con tanti  bigodini!

Snobbi e molto intelletuale 
Ma dov'è il lupo cattivo!
- Sono qui nonnina!


Ma tu che lupo sei ?
Uno travestito da gallo!


Mamma!






                                                                          
«Mamma, sono a pezzi! Voglio andare a casa»
 e pronunciando queste parole, le aveva buttato le braccia al collo rovesciandole
addosso tutto il suo peso corporeo.
Così lei aveva stretto al petto la sua piccola testa di bambino e quel
caschetto di capelli neri, folti e morbidi, l’unico segno capace di ricordarle,
anche alla fine delle giornate peggiori, che erano nati entrambi dalla stessa terra, 
qualunque fosse stato il destino riservato loro dal futuro.
Stanotte avrebbe dormito. Era stata una lunga
giornata, e quel discorso che l’avevano costretta
a pronunciare in una lingua diversa da quella in cui
prendevano forma i suoi pensieri, l’aveva inutilmente stancata.
Si domandava spesso perché queste sue frasi sconnesse,
a volte veicoli di incomprensioni, altre volte capaci di inventare
potenti, anche se involontari, neologismi, non spingessero
gli altri a zittirla, una volta per tutte, e a fare loro questi gran
discorsi. Invece, si abbandonavano tutti al suono della sua
voce, e le indirizzavano sguardi pieni di richieste inespresse,
quasi come se lei e quella lingua imperfetta che non le
apparteneva, potessero mettere ordine e attribuire un senso
anche ai loro pensieri.
All’inizio pensava fosse solo una questione di tempo. Con l’abitudine,
la familiarità con gli odori e i suoni di quella casa, si
illudeva sarebbe arrivato anche il sonno e il riposo del corpo
e dell’anima di cui tanto aveva bisogno. E dopo alcuni mesi
aveva creduto che stesse accadendo davvero così. Quando
non dovevano finire qualche lavoro per il giorno dopo, e questo
cominciava ad accadere sempre meno, dormiva quasi
fino al mattino. In questa nuova terra il tempo, a loro, in passato,
sempre avverso, pareva aver trovato anch’esso pace ed
equilibrio. Lavoravano di giorno, dormivano di notte. Aveva
così compreso che vivere come il resto del mondo poteva
essere estremamente confortante.
Una notte di sonno profondo, sentì all’improvviso una piccola
mano fredda stringerle il braccio con forza fino a conficcarle
le piccole unghie nella carne. Avvertì la sensazione di lacrime
sulla pelle. Allora si svegliò, e all’aprire gli occhi, si trovò a
fissare altri occhi neri come i suoi, rossi per il pianto e corrosi
dalla paura. «Ti ho chiamata...ti ho chiamata un sacco di volte!
Mamma, perché non mi hai aiutato, mamma...».
Come spiegare a quei due piccoli occhi neri che quella parola
non voleva dire nulla per lei. Lei non era una mamma, non si
diceva mamma nella lingua dei suoi pensieri. E se qualcuno
urlava mamma nel cuore della notte, anche fino a farsi mancare
la voce, non era il suo aiuto che chiedeva. Tornò quella
notte l’insonnia, e sfumò la speranza di trovare tra quei suoni
e odori il riposo del corpo e dell’anima di cui tanto aveva bisogno.
In questo tempo notturno imparò a sentire e comprendere
urla di parole sconosciute per poter ogni volta accorrere
al capezzale di quel caschetto di capelli neri, folti e morbidi.


tratto dalla rivista: giocodeglispecchi 9 giugno 2012
Gracy Pelacani,
nata a Curitiba, capitale dello stato brasiliano del Paranà,
è dottoranda presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento.
Selezionata al concorso Linguamadre 2010, in quello
2011 si è aggiudicata il secondo posto con il racconto
 "Verde uguale casa" 


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...